Paolo Sorrentino ha diretto un film che è più d'ascoltare che da vedere. Le musiche, bellissime, quasi una storia del rock. Le scene si susseguono un pò lente, passando da una triste e ferma periferia di Dublino a un'America senza grattacieli ma con grandi spazi infiniti. Sean Penn recita la parte di una rock star cinquantenne, Cheyenne, che vive in una lussuosa villa grazie ai guadagni di un successo che appartiene al passato con la moglie che, come tutte le mogli del mondo, è un pò amante e un pò mamma. Cheyenne ha un trucco esagerato, una latente depressione e infantili paure. E' un bambino mascherato, divorato dagli eventi e dal tempo che passa inesorabile e veloce. Un bambino truccato da adulto con un rapporto irrisolto col padre. Sarà proprio la morte di quest'ultimo, vittima di un'umiliazione durante l'olocausto, a fargli decidere di cercare un vecchio nazista inutilmente braccato dal padre per tutta la vita. Cheyenne lo cerca, lo stana ma non si trova di fronte degli occhi spietati e crudeli di un criminale, ma gli occhi di un uomo vittima e carnefice (anche lui di se stesso?) Tra la punizione e l'umiliazione Cheyenne sceglierà quest'ultima: una scena bellissima dove il candore della neve accoglie un corpo consumato e invecchiato che riporta a certi dannati della pittura fiamminga. Il film è bello, commuovente, triste ma alla fine ti rimane l'idea del collage: s'intravedono i contorni dei singoli pezzi che combaciano in una velata visione d'insieme, in una costruzione sapiente e intelligente, volutamente d' "autore". Insomma più cervello che cuore.
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