Ci sono dei film che potrebbero finire anche dopo la bellezza della prima scena. È il caso de “Il traditore”, regia di Marco Bellocchio. Siamo a Palermo, negli anni 70, c’è aria di guerra tra Totò Rina e le vecchie cosche. Le famiglie festeggiano insieme Santa Rosalia per cercare di trovare un accordo. Riuniti in una casa ci sono gli uomini, che scrutano i nemici, hanno sguardi sospettosi e sembrano sempre pronti a sparare, ci sono le donne, ammucchiate sui divani con i loro sfavillanti abiti da sera, arrese a un destino segnato e i bambini, che giocano ignari, poi i fuochi e i brindisi e la statua della Santa che troneggia nella stanza. Da qui si parte per raccontare la storia di Tommaso Buscetta, il primo pentito di mafia che svelò il legame Stato-mafia. Nei panni di Buscetta uno straordinario Pierfrancesco Favino, che interpreta il boss dei “due mondi” in modo magistrale. Toglie il fiato la scena dell’uccisione di Giovanni Falcone, con una sequenza scenica che non si dimentica facilmente. Un sorriso amaro invece per la scena dove si intravede Giulio Andreotti in mutande e un’amarezza infinita per la mattanza di quegli anni. Nell’epilogo le scene del maxi processo nella vera aula bunker di Palermo dove i boss, dietro le sbarre come animali in gabbia, deridono e provocano la giustizia che con fatica percorre la sua difficile strada.
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