domenica 28 luglio 2019

TAV

Nel contratto di governo i due contraenti, m5s e lega, si impegnavano a rivalutare la realizzazione del TAV , dopo una attenta analisi del rapporto costi/benefici. Il risultato di questo studio ha sancito la non convenienza dell’opera, con una perdita tra i 6.1 e 6.9 miliardi di euro per l’Italia. Giusto per ricordarlo, stiamo parlando di un progetto vecchio di 30 anni, con un impatto ambientale disastroso, che crea enormi conflitti sociali e che da sempre ha rappresentato l’emblema di una lotta del m5s contro una classe politica e imprenditoriale senza scrupoli e senza un minimo interesse per il bene comune. L’annuncio di Conte per il proseguimento dell’opera è scaturito da nuovi accordi presi con gli altri due soci, Francia e Unione Europea, che prevedono un aumento della loro quota di investimento al punto tale che si annullerebbero i maggiori costi individuati dallo studio italiano a tutto vantaggio dei benefici. Questo, però, é un ragionamento che tiene conto solo dei soldi (i nostri). Il Tav, invece, rappresenta, per milioni di cittadini che hanno votato il movimento, l’opposto di un mondo in cui spostarsi velocemente non è importante quanto l’ambiente e la sua tutela. C’è ancora qualcuno che si ricorda della “decrescita felice”? Il movimento non è solo un “sogno politico”, è una realtà, che si è sviluppata ed è cresciuta perché ritenuta credibile, in un Paese in cui la classe politica non mantiene mai le promesse, è coerente, perché ha lottato con una precisa idea del futuro da costruire. Bisognerebbe mettere da parte qualsiasi analisi economica e concentrarsi sull’unico vero beneficio, quello ambientale, uscendone magari sconfitti politicamente ma con la certezza di essere ricordati per aver risparmiato alla nostra penisola un’altra violenza di cui non ha bisogno.

sabato 20 luglio 2019

Anno zero

Avrei potuto pubblicare le decine di foto dei roghi dei rifiuti di questi giorni ma ormai il fumo nero non fa più notizia. Gli occhi li apriamo solo quando la spazzatura inizia ad accumularsi davanti al nostro uscio. Solo allora (forse) ci facciamo qualche domanda. 
Il governatore De Luca ha fallito nella gestione dei rifiuti, al di là del colore politico questo è un dato di fatto. E’ fallito il piano di rimozione delle Ecoballe di Taverna del re, fallito il piano rifiuti, fallito il progetto delle compostiere di quartiere ( che fine hanno fatto?) che anche il Comune di Aversa aveva chiesto. Con il fermo dell’inceneritore di Acerra ci sarà una nuova grave emergenza rifiuti. E solo ora si corre ai ripari. Con il solito metodo che ha distrutto negli ultimi decenni la nostra regione: quello delle discariche provvisorie. Il genio “politico” ne ha previste a Giugliano, a Taverna del Re, a Napoli, a San Tammaro, a Polla, a Battipaglia, ad Avellino. Tutti siti famosi per la “salubrità dell’aria”. Cosa verrà messo in questi siti di stoccaggio? Rifiuti “misti” come è successo a Taverna del re (che poi sarà difficile smaltire)? Che garanzie hanno i cittadini a tutela della salute pubblica? 
A ogni emergenza rifiuti si parla di soluzioni (sempre momentanee). Pochissimi le cercano a monte di questo circolo folle che ci porterà alla autodistruzione. A monte c’è una seria DIMINUZIONE dei rifiuti. Non si può più rimandare. La politica deve avere questo compito! A qualsiasi livello istituzionale è necessario operare in tal senso. Nei supermercati scaffali enormi di detersivi, di acque ( ma siamo impazziti?), di shampoo, di balsamo, di succhi, addirittura di frutta ( due banane, un arancia a spicchi) venduti nella plastica! E poi gli scarti industriali. Ad Aversa, per esempio, chi controlla la miriade di fabbrichette sparse sul territorio? Che ci vuole a capire perché si bruciano tanti pneumatici? Le 500 compostiere comprate dal Comune di Aversa giacciono ancora in deposito, pochissimi cittadini ne hanno fatto richiesta. E’ sempre una questione di rivoluzione culturale. Ma basta guardare i carrelli che escono dai supermercati per capire che siamo ancora all’anno zero.

mercoledì 17 luglio 2019

Affari a gonfie vele

Gli unici affari che vanno sempre bene, che non conoscono crisi, che se ne fregano del Pil, dei dati statistici sull’occupazione e di tutti i mezzi di distrazione di massa che i giornali ci propinano ogni giorno, sono quelli dell’Ecomafia. E’ quanto emerge dal sempre interessante rapporto annuale di Legambiente. Sulla distruzione dell’ambiente ci lucrano tutti: ben 16,6 miliardi di euro, 2,5 in più rispetto all’anno precedente , gli “ambiti” prediletti sono il ciclo illegale del cemento e dei rifiuti, filiera agroalimentare e racket degli animali. La Campania domina la classifica regionale delle illegalità ambientali con 3.862 illeciti e quella delle illegalità nel ciclo del cemento con 1.169 infrazioni. A gonfie vele anche le archeomafie racket legato alle opere d’arte e ai reperti archeologici ( chissà perché mi viene in mente la bellissima chiesa della Maddalena ad Aversa) Manco a dirlo la regione più esposta all’aggressione dell’archeomafia è la Campania, con il 16,6% di opere d’arte rubate. In leggera crescita anche i delitti contro gli animali e la fauna selvatica con 7291 reati Unico dato positivo del rapporto sono i buoni risultati della legge 68/2015 sugli ecoreati, che sin dall’inizio della sua entrata in vigore , nell’anno 2015, sta stando un contributo fondamentale nella lotta agli ecocriminali. 

Insomma i numeri preoccupanti ma anche la tipologia dei reati (come il racket degli animali) dimostra che la corruzione resta il problema principale di questo paese. Un Paese che per decenni ha pensato solo alla “legalità” imbrigliandosi in un sistema burocratico fatto di leggi e leggine, puntualmente raggirate, trascurando i concetti di civiltà e di moralità e di una cultura radicalmente diversa. Perchè il rispetto dell'Ambiente, a cominciare dalla politica, è soprattutto un dovere morale.

mercoledì 10 luglio 2019

"Le carte apposto"

Ieri al Policlinico per una visita: corridoio strapieno di gente, sala di attesa semivuota, tutti accalcati davanti alle porte delle varie stanza perché il numeratore “ signò si blocca sempre”. Aspetti che la porta si apra e al primo camice bianco che vedi chiedi informazioni. “Signora ma questa prescrizione non va bene” allora insisto spiegando di essere già stata all’accettazione “signora io qui sto lavorando mica sto perdendo tempo!” Avrei voluto urlargli “io sto da due ore in un traffico infernale, con un caldo infernale, un’ora per elemosinare un parcheggio, un’altra ora di fila all’accettazione, un ora per capire che razza di inferno è la sanità pubblica e tu mi dici che stai lavorando” Mantengo la calma e provo a capire. “Signora le ricette sono due, per questa visita ne serve un’altra “. Un’altra che dice la stessa cosa delle due che avevo, in sostanza. Cosi mi dicono dopo aver percorso il lungo corridoio una decina di volte facendomi largo tra la gente. Allora chiedo di poter chiamare il mio medico curante che mi può spedire su posta elettronica la ricetta giusta. “ Le conviene non insistere il dottore che deve visitarla è…particolare” Intanto è quasi l’una, il corridoio si è svuotato, il caldo e la stanchezza si fanno sentire. Io sto li con il cellulare in mano, non so che fare. Parlo con la capo sala che con molta gentilezza mi convince a ritornare con la prescrizione giusta “ che vuole che le dica poteva visitarla anche con questa ricetta ma purtroppo quel medico è fatto cosi..”Sono due settimane che vado avanti indietro senza risolvere nulla. L’importante è che tutte le carte stiano a posto.La prossima volta voglio nascere in Svizzera. Non ci resta che sfogarci sui social
Oggi al supermercato. Insalata dalla Germania. Siamo tutti impazziti.

martedì 9 luglio 2019

Competenza regionale!


Quando lo capirete che lo smaltimento dei rifiuti è una competenza regionale? Poveri Sindaci...

ECOBALLE
di Marco Travaglio
9 Luglio 2019 

Tale è la voluttà di gettare tutte le croci addosso a Virginia Raggi, anche quelle destinate ad altri, che ormai politici (anche dei 5 Stelle) e giornali negano persino l’evidenza. E cioè che lo smaltimento dei rifiuti della Capitale, come di tutte le città d’Italia, è competenza esclusiva della Regione. In questo caso, del Lazio governato da Nicola Zingaretti. E il principale problema dei rifiuti romani non è la raccolta, che in tempi normali faticosamente regge, nei limiti di una metropoli con quelle dimensioni, quei bilanci disastrati e quell’impatto turistico: ma è lo smaltimento. Per un motivo molto semplice: nel 2013, pressati da indagini giudiziarie, proteste popolari e una procedura d’infrazione Ue, il sindaco Ignazio Marino e il neogovernatore Nicola Zingaretti chiusero la fetentissima e inquinantissima discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa (240 ettari), di proprietà del “re della monnezza” Manlio Cerroni: e fecero bene. Ma purtroppo si scordarono di decidere il sito alternativo con cui sostituirla per smaltirvi i rifiuti: e fecero male. Malissimo. Tant’è che Roma, a sei anni di distanza, paga ancora quella scelta (anzi non scelta) sciagurata: perchè non sa dove smaltire i suoi rifiuti. In questi sette anni le due giunte Zingaretti hanno accuratamente evitato di decidere il luogo della nuova discarica, per paura di scontrarsi con le popolazioni e le giunte dei comuni e prescelti (perlopiù targate Pd).
Quindi se oggi, come sempre fin dai tempi di Marino, a ogni guasto, o incendio, o manutenzione di uno dei quattro impianti di Tmb che reggono a stento il trattamento dei rifiuti capitali, la città va in emergenza e i rifiuti si accumulano per le strade, il colpevole è uno solo: la giunta regionale Zingaretti. La Raggi ha altre colpe, anche in tema di rifiuti: aver cambiato tre assessori in tre anni (l’ottima Muraro, la troppo ideologica Montanari e ora se stessa) e tre amministratori dell’Ama (che finora, con 1 miliardo di buco, una flotta di mezzi utilizzabili solo al 55% e tassi di assenteismo da quarto mondo, non hanno saputo mettere ordine nella municipalizzata). Ma sullo smaltimento nulla poteva né può fare, perchè non è nelle sue competenze. Infatti da tre anni chiede un nuovo Piano rifiuti alla Regione. Invano. E dire che la giunta Zingaretti è stata messa due volte in mora da altrettante sentenze del Tar, nel 2016 e nel 2018, che le ordinano di “individuare la rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento rifiuti in ambito regionale” perchè “crearla spetta alla Regione e non allo Stato”, e minacciano in caso di inerzia l’arrivo di “un Commissario ad acta” nominato dal prefetto.
Niente da fare: tutto fermo. Il che rende ridicolo leggere che “la Regione commissaria la sindaca”: l’unico ente che, sentenze alla mano, andrebbe commissariato è la Regione. Invece, stando ai media, pare che il problema sia che la Raggi ha fatto una gaffe in un video sui social: quello in cui dimostra che una delle aziende millantate dalla Regione come pronte ad aumentare la raccolta della monnezza romana, la Rida di Aprilia, era chiusa. Risposta della Regione: hai sbagliato azienda, quella non è la Rida. Invece è proprio la Rida, ripresa dal retro, visto che dall’ingresso principale la sindaca non l’han fatta entrare. Da tre giorni siti e giornaloni ripetono a fotocopia la fake news della “gaffe della sindaca che sbaglia ditta”. Non sbaglia ditta e comunque non è certo quello il guaio di Roma. Che dipende da ben altri fattori, raccontati per filo e per segno da Vincenzo Bisbiglia sul nostro sito.
Il ciclo dei rifiuti prevede tre fasi: raccolta (fase 1); trattamento (fase 2), con eventuale “trasbordo” provvisorio, cioè parcheggio in caso di difficoltà o ritardi del passaggio successivo) (fase 2-bis); e smaltimento (fase 3). La 1 spetta al Comune (cioè all’Ama). La 2 spetta alle società autorizzate dal Piano rifiuti regionale (in una mappa di “aree bianche” indicate da province o città metropolitane): i quattro impianti Tmb (trattamento meccanico biologico: due di Colari, l’ex gruppo di Cerroni ora commissariato dal tribunale, e due di Ama), che basterebbero a stento se fossero sempre tutti a pieno regime, invece sono troppo vecchi per non andare ogni tanto in tilt (al netto degl’incendi dolosi). La 3 spetta agli impianti decisi dalla Regione: discariche e inceneritori. E proprio la 3 manca a Roma: dalla fine di Malagrotta, il ciclo dei rifiuti non si chiude. Discariche e inceneritori del Lazio sono troppo piccoli per smaltire le 4700 tonnellate di immondizia prodotte ogni giorno dai romani. Servirebbe un nuovo Piano Rifiuti della Regione, che invece è ferma a quello del 2012 della Polverini, pre-chiusura di Malagrotta. Da allora la Regione s’è limitata ad aggiornarlo per redistribuire parte dei rifiuti romani in impianti già esistenti fuori Roma: nel Lazio, in altre regioni (Abruzzo, Veneto, Puglia, Emilia Romagna, Lombardia) e in altri Stati (Austria, Germania e Portogallo). Tutti accordi regionali costosissimi per la città: 50 milioni l’anno, pagati dai romani con la tassa rifiuti più alta d’Italia. Nel 2017 ha pure chiuso l’inceneritore di Colleferro. Intanto la differenziata, avviata da Alemanno e incrementata da Marino e Raggi, è arrivata al 45%: si può fare meglio (la sindaca ha annunciato nel 2017 un piano per portarla al 70% nel 2021: auguri), ma è già un discreto traguardo, che ha ridotto le tonnellate giornaliere da smaltire a 3mila. Ma il guaio non è la raccolta (fase 1): è il trattamento (fase 2) che spesso va in tilt, o per l’aumento dei rifiuti sotto Natale e a luglio, o per il blocco di uno o più Tmb (su quattro). E allora si tampona col trasbordo provvisorio (fase 2-bis), ma anche lì la Regione dorme: solo nel luglio 2018 ha autorizzato, fuori dai capannoni di Rocca Cencia e Salario, due aree scoperte dove appoggiare i rifiuti in attesa di trattarli. In ogni caso, manca da sei anni lo smaltimento in loco (fase 3).
Nel 2018 la situazione precipita. Un incendio doloso devasta a marzo il Tmb di Rocca Cencia e un altro, a dicembre, distrugge completamente il Tmb di Salario. I cittadini esasperati bloccano anche i trasbordi all’aperto. Così, oltre alla 3, saltano anche le fasi 2 e 2-bis. La Raggi bandisce appalti per il trattamento, ma le gare vanno regolarmente deserte (l’Antitrust indaga su possibili cartelli fra operatori, interessati ad aggravare l’emergenza per tornare ai vecchi affidamenti diretti, aumma aumma). Chiede aiuto ad altre Regioni, che spesso rispondono picche. Si appella a Zingaretti perchè vari finalmente il Piano rifiuti, per cui a gennaio 2019 la Città Metropolitana ha consegnato alla Regione la lista delle “aree bianche” dei nuovi impianti. Invano. In vista del mese critico di luglio, tenta una proroga delle aree di trasbordo a Ponte Malnome e Saxa Rubra, ma gli abitanti si ribellano. Intanto, dei tre Tmb rimasti, i due di Colari annunciano in contemporanea un programma di manutenzione da giugno a settembre, col taglio della capienza giornaliera da 1250 tonnellate a 500. E il 31 luglio scadrà pure l’accordo Lazio-Abruzzo per il trasloco di parte dell’indifferenziato romano.
É la tempesta perfetta. Il collo di bottiglia che sta strozzando la Capitale. Scrive Bisbiglia: “Dopo Pasqua le strade si riempiono di sacchetti, Ama raccoglie (con le sue difficoltà), ma non sa dove portare l’immondizia, la differenziata va in tilt fra i cittadini scoraggiati e i lavoratori sotto pressione”. L’ennesima, prevedibilissima emergenza esplode col caldo e le puzze. Ma la giunta Zingaretti partorisce l’ennesimo topolino: un’ordinanza che ordina al Comune di acquistare subito 300 nuovi cassonetti (la città ne ha 52mila), non stanzia un euro e non decide nuovi impianti. Promette solo l’uso a pieno regime di quelli del Lazio, ma questa parte è scritta coi piedi (la ditta Rida, letta la prima versione, annuncia che non prenderà un grammo in più di monnezza e cambia idea solo dopo un’aggiunta posticcia: a proposito di “gaffe”). Qualcuno ciancia di nuovi inceneritori, come se non occorressero 7-8 anni per farne uno (e allora si spera che la differenziata in più lo renderà inutile). O di una nuova discarica (a Pian dell’Olmo o altrove), che però andrebbe varata. Da chi? Dalla Regione. Fra una grida manzoniana e l’altra, Zingaretti invita la Raggi a “vergognarsi”. E lui quando si vergogna?