Premio Oscar 2010, il film di Juan Josè Campanella è la storia di un poliziotto, da poco in pensione, che tenta di scrivere un romanzo su un caso di stupro e omicidio avvenuto negli anni 70 in un'Argentina post peronista dominata dalla violenza. Il desiderio della scrittura costringe il poliziotto non solo a fare i conti con se stesso ma con tutto un passato che, solo per lui, ha molti lati oscuri. La bellezza del film è nella storia, ben scritta, di una violenza terribile, ma soprattutto in questa ricerca interiore (che senso ha una vita vuota?) del protagonista: un' oscillazione continua tra presente e passato, tra la realtà e i ricordi, una fitta rete di silenzi, d'inganni, di bugie, che costringono il poliziotto a restare sempre in bilico. Due le scene salienti: quella bellissima dello stadio pieno di esseri umani che urlano, formicaio di storie (vuote?) e quella dell'ascensore, gioiello di suspense, dove si capisce che la ragione è sempre del più forte. Questo poliziotto è diverso da tutti gli altri perché non segue delle tracce, non va a caccia d'indizi, non prende impronte, non ascolta gli alibi. Egli sa guardare negli occhi ed è così che troverà l'assassino e se stesso.
ps: un grazie al mio amico Tonino che mi consiglia sempre film e libri belli.
Nessun commento:
Posta un commento