martedì 5 febbraio 2013

Django


I titoli di testa e la prima scena, da soli, valgono il biglietto d'ingresso. Un America magica, nostalgica, un West di praterie e polvere, di cavalli in corsa, di colpi in canna, di selle di cuoio, un 'America che sopravvive solo nei nostri ricordi. Alla vigilia della guerra civile un cacciatore di taglie e uno schiavo di colore s'incontrano e, in uno strano sodalizio, vivono insieme gli orrori razzisti di quegli anni. Sangue e violenza, uomini che cadono come birilli, sofferenze e torture atroci, ingiustizie crudeli, la vita umana che vale poco più di niente. Leonardo di Caprio ne è l'esempio più significativo con un'impeccabile interpretazione forse dovuta proprio al ruolo insolito che ricopre. Eppure nel racconto splatter si apre uno spiraglio d'ironia, di umorismo, quasi di comicità come a dare respiro per poter arrivare fino alla fine. La violenza diventa grottesca, surreale, quasi ridicola, come chi la pratica. Le musiche di Ennio Morricone accompagnano nella visione del film forse più "film" di Quentin Tarantino. A metà sorprende, in un'atmosfera così americana, una canzone italiana: è la voce di Elisa. I dialoghi densi e per niente banali fanno il resto in una storia che racconta l'arroganza dei bianchi ma anche la cattiveria di un servitore nero. Perchè in fondo il mondo è così: nè bianco nè nero, solo umano.  

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