martedì 17 marzo 2015

Il barone rampante

Cosimo è un ragazzo che mal tollera la severità del padre e del mondo che rappresenta: una nobiltà che sente vicino la sua fine. Siamo negli anni della rivoluzione francese in una Liguria che continua a incipriarsi il naso pur di scongiurare il suo declino. Cosimo si stanca, si ribella e fugge. Ma il luogo dove si rifugia è singolare: egli va a vivere sugli alberi. Litiga col padre, apre la porta, sale su un albero e non scenderà mai più. Le miserie umane da qualche metro di altezza appaiono diverse, meno drammatiche, meno irrimediabili. Il tempo dei suoi giorni Cosimo lo vive nella sua pienezza ( a chi deve dar conto lassù?) e allora comincia a leggere, a studiare, a cercare di capire quel mondo che è sotto di lui. S'innamora e stringe amicizie anche importanti, sempre dagli alberi. Egli aveva giurato a suo fratello minore, voce narrante, che non avrebbe mai più toccato la terra e vi riesce fino alla fine. E' un libro, secondo me, bellissimo. Lo è il tema, a metà tra la favola e il racconto fantastico, tra la realtà e la fantasia, e la lingua, un italiano ormai scomparso, ricco di sfumature e vocaboli, sempre preciso e mai approssimativo. Vivere la vita con un po' di distacco aiuta ad avere uno sguardo più oggettivo ma non garantisce il distacco emotivo. Cosimo dagli alberi, s'innamora, piange, soffre, invecchia e muore. Tutto uguale. Come sulla terra.

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