lunedì 10 ottobre 2011

La pelle che abito


Il film di Pedro Almodòvar, proiettato in una piccola sala, attrae meno di quello di Salemme (nella sala grande). Incrocio sulle scale un uomo sulla sessantina, capelli bianchi e occhialini di metallo, che commenta: "è un film che scuote". E’ cosi. Il film di Almodòvar "La pelle che abito" è un film che scuote. Perché la trama non è lineare, lontana dai classici criteri spazio-temporali, scorre intensamente tra il grottesco e il drammatico, in un susseguirsi di scene di ambiguità e di angoscia. Antonio Banderas recita con una maschera fissa, d'automa, lui stesso già clone di un altro, la parte di un chirurgo che dopo aver perso la moglie, rimasta carbonizzata in un incidente, s’impegna a costruire una pelle in laboratorio più resistente di quella umana. Il primo tempo scorre così, velato, misterioso, sfuggente. E nell’intervallo ognuno cerca di riordinare le idee, di trovare un filo che colleghi le varie scene. E mentre il pensiero "decanta", illudendoti di portarti a una verità, inizia il secondo tempo e i pezzi folli e disordinati si compongono in un disegno che appare, lentamente, sempre meno sfocato. Allora ritrovi quello che ricordavi della “poetica" di Almodòvar: madri con segreti inconfessabili, corpi con identità diverse da quello che appaiono, uomini che sembrano donne, donne che sembrano uomini, ambienti raffinati e ricercati con repentini cambiamenti di stile (l’uomo tigre), legami affettivi al limite della patologia. E poi gli sguardi in primo piano, cosi profondi ma anche inespressivi, lo scivolare della telecamera su particolari apparentemente inutili (i tasti di un sassofono), i continui richiami all’arte figurativa. I titoli di coda scorrono su un fondo con un elica di DNA che gira su stessa, e su gente, ancora al buio, che riflette, che si sente scossa, turbata, scombussolata da una realtà cosi surreale e in fondo cosi umana.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bellissimo, l'abbiamo visto in prima visione al Warner di Roma un mese fa. Anche noi abbiamo discusso sul fatto che nella sala dove proiettavano questo capolavoro eravamo 4 gatti.La sala col film di Salemme era piena di gente e popcorn. :)

Meraviglioso film che per i primi 40 minuti ti induce a lasciare la sala per la delusione e lo smarrimento. Ad un tratto, e qui la genialità, un rapidissimo puzzle si compone fino a benedire il momento in cui hai deciso di restare a guardare. La sola controindicazione è che a quel punto vorresti che il film, durasse un altro paio d'ore.

Carlo

Vincy ha detto...

Uno dei film più belli che abbia visto negli ultimi tempi,che come hai giustamente detto "scuote".
Difficile uscire dalla sala-complice anche lo spazio striminzito e il silenzio tombale dei pochi,ma coinvolti spettatori- senza portarsi dietro una storia così forte, impressa nella testa.
Certo è che Almodòvar sa come lasciare di stucco il pubblico,e sebbene i molti preferiscano i "cinespazzatura",non avrei alcun dubbio su quale film vedere altre due,o tre volte.

Ti faccio tanti,tanti complimenti per il blog!Un bacio,Vincy.