domenica 18 maggio 2008

Gomorra al cinema








In sala c’era un silenzio strano. La prima scena di “Gomorra” di Matteo Garrone è una presentazione chiara: un film di guerra, come lo stesso regista ha dichiarato, una guerra che è in atto a 150 km da Roma: in un solarium ci sono degli uomini che curano il loro aspetto; sono strani, sembrano dei replicanti, e la mattanza che segue è avara di particolari, colpi secchi e decisi, vite che cadono come pedine inutili. E’ strano vedere i sottotitoli in italiano per un linguaggio a noi così familiare. I racconti sono cinque e i luoghi sono il quartiere di Scampia e le Vele e le spiagge di Castevolturno. I personaggi hanno tutti, nel comportamento e nelle espressioni una violenza strana, non diretta verso un nemico da combattere e distruggere, ma verso un modo di vivere che mette il profitto al di sopra di tutto. In questa generale decadenza morale e sociale è di forte impatto la scena di un' anziana donna che con la zappa continua a curare la sua povera terra malata. Un ultimo disperato tentativo di salvare il salvabile. La donna regala una cesta piena di pesche rosse e a uno dei personaggi chiave della narrazione, il trafficante di rifiuti tossici (Tony Servillo) che dopo un pò se ne sbarazza perché hanno uno strano odore. Il film ti cala nella realtà del quartiere Scampia, una struttura creata apposta per generare violenza, con il suo abbandono, con il degrado dilagante, i cunicoli bui e sporchi. Durante un trasloco il regista inquadra una statua di Padre Pio e una che rappresenta una tigre, come a sottolineare ancora una volta la complessità dell’anima di questa terra: la macchina da presa indugia sulle fauci della tigre , poi si sposta sul viso rugoso e vissuto di una vecchia che in mezzo a quell’orrore e a quel degrado fa un gesto semplice ma carico di significato: sbadiglia. Il simbolo dell’ l’indifferenza degli altri di fronte allo strapotere del male. Un film corale con un piccolo personaggio che si chiama Roberto , come Saviano, che in questo mondo di perdenti violenti rappresenta l’antieroe, che rifiuta quel sistema di vita e senza gesta eclatanti si gira e se ne va per la sua strada dicendo solo: io sono diverso.

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